Una questione idiomatica
La lingua italiana (così come quella inglese) è molto ricca. Ognuno di noi ha a disposizione, per dare voce ai propri pensieri, circa 160.000 vocaboli diversi: parliamo ovviamente di termini consolidati e non desueti.
Il vocabolario inglese utilizza non meno di 490.000 vocaboli, a disposizione della lingua normalmente parlata. Questa grande ricchezza non sempre comporta vantaggi per la comunicazione: scegliere i termini corretti, soprattutto in ambito lavorativo, diventa una priorità se si vuole massimizzare l’efficacia della comunicazione. In una lingua come l’inglese (in cui non esiste la formalità di “dare del lei” come in italiano) il rispetto delle regole formali è la base su cui si costruisce un discorso, che deve risultare sempre chiaro e deve essere presentato nel rispetto di canoni formali. Con il termine polite difatti si indica non solo l’educazione, ma tutto quel pattern di elementi (ad esempio la comunicazione verbale, para-verbale, il linguaggio del corpo ecc.) che servono ad un buon interlocutore per relazionare in modo corretto con i propri interlocutori quando questi seguono dei rigidi schemi.
Regole diverse per lo stesso contenuto
Sostanzialmente e storicamente diversa dall’italiano, la lingua inglese ha una costruzione grammaticale assai differente dagli idiomi latini. Per questo motivo, la padronanza della lingua è sicuramente più importante della capacità di tradurla. Pensiamo ad esempio ad una classica mail lavorativa. Dovendo chiedere il permesso per qualcosa, nella nostra lingua di usa il verbo “potere”: potrei, potrebbe, potresti ecc. In inglese per dire la stessa cosa si usano tre verbi diversi, che hanno accezioni diverse: parliamo di can, could e may. Se can è utilizzato in maniera informale, could e may sono decisamente più formali, quindi più adatti ad una comunicazione in ambito lavorativo. Lo stesso vale per molti altri verbi, che vengono declinati in maniera diversa a seconda dell’uso che se ne fa. Anche le abbreviazioni sono a volte utilizzate come semplificazione verbale, in ambito lavorativo. For Your Information (FIY), By The Way (BTW), As Soon As Possible (ASAP) sono alcune tra le abbreviazioni più usate dagli anglofoni: se la prima può anche essere usata in maniera formale, le altre sono terminologie più gergali. Vale la pena di ricordare però, che un linguaggio formale non deve lasciare spazio ad incomprensioni: è dunque buona regola abbreviare il meno possibile.
Guida alla email perfetta
In un’epoca dominata dalla comunicazione elettronica può essere utile un piccolo brief, su come scrivere una mail corretta. Innanzitutto si parte dall’Oggetto della mail, ossia la prima cosa che colpisce il lettore. Esso deve essere chiaro e succinto: molto spesso l’oggetto può fare la differenza tra una email cestinata senza neppure essere letta ed una salvata tra le comunicazioni importanti. La subject line deve quindi essere concisa chiara e dritta al punto. Deve essere anche particolarmente accattivante per stuzzicare l’attenzione del destinatario. Passando poi al corpo del testo, questo deve essere lineare e composto da periodi brevi. L’italiano formale che tende a diventare un po’ prolisso, con periodi lunghi e articolati, ricchi di frasi subordinate, virgole e incisi, mal si presta ad una traduzione letterale. In inglese, di contro, è meglio usare frasi brevi, con molta punteggiatura, per rendere immediatamente chiaro il focus del discorso. Bisogna inoltre tenere sempre bene a mente chi sta leggendo la mail: tocca dunque guardare il testo da una prospettiva esterna, immedesimandosi in chi lo legge e chiedendosi quali potrebbero essere le eventuali interpretazioni. In inglese, questo viene definito il “keep your reader in mind”. È bene ricordare, a questo punto, la regola delle 3P: be polite, positive and proactive, che si traduce con l’essere educati, positivi e propositivi, dando dunque una buona carica a ciò che si scrive. Attraverso questi metodi, le nostre mail risulteranno sempre chiare, anche a coloro che non ci conoscono direttamente.
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Si ringrazia la relatrice Riccarda Bonfanti.