L’anno della nuvola
l 2020 sarà ricordato come l’anno che ha reso evidente l’importanza fondamentale della strategia “cloud first” per i servizi pubblici – ma non solo – del Paese. Abbiamo scoperto di essere una nazione decisamente più smart di quanto riveli l’indice DESI, che nel 2020 riporta i valori degli indicatori rilevati nel corso del 2019. Immaginiamo quanto più difficile sarebbe stato il lockdown senza le infrastrutture SaaS (Software as a Service) che abbiamo oggi e senza la capacità che abbiamo dimostrato di trasformare in poco tempo il nostro modo di lavorare: abbiamo realizzato una transizione verso lo smart working che in condizioni normali avrebbe richiesto anni, dove il cloud ha giocato un ruolo fondamentale. Questa capacità l’hanno dimostrata sia i privati che le Amministrazioni senza scontare alcun impatto sulla produttività. Al contrario, grazie a un sistema disponibile h24, le risorse hanno potuto organizzarsi al meglio il carico di lavoro.
La morte dell’hardware
Nonostante questi dati rassicuranti rispetto a quanto ci si aspettava, l’Italia rimane però ancora fortemente “analogica”. Una sempre maggiore digitalizzazione deve andare di pari passo con una formazione capillare: soltanto attraverso la conoscenza delle potenzialità dell’utilizzo del Cloud è possibile snellire di molto i processi organizzativi delle aziende, ma anche dei privati, potendo contare su un sistema di condivisione delle risorse facile da usare. Non solo i dati, ma anche intere strutture digitali: sempre più spesso infatti gli stessi server delle aziende si appoggiano su Cloud esterni, sfaldando l’ultimo baluardo dell’era dell’hardware. Attraverso lo sviluppo sul Cloud di progetti che si servono delle tecnologie più avanzate di analisi dei dati e dell’intelligenza artificiale, inoltre, è possibile individuare azioni volte a contrastare gli effetti del global warming: non solo dunque utili per l’efficientamento dei processi aziendali, ma anche per la creazione di soluzioni in grado di ingaggiare i cittadini in iniziative di sviluppo sostenibile delle città e di economia circolare.
Il professionista in Cloud
In questo panorama, tocca capire come un libero professionista possa applicare la tecnologia del cloud alla sua professionalità. Sempre più spesso infatti si rende necessaria la presenza di una infrastruttura non-fisica che possa velocemente permettere al lavoratore autonomo di raggiungere i suoi clienti in maniera veloce, capillare e soprattutto sicura. L’utilizzo del Cloud viene perfettamente incontro a queste necessità: la nuvola è impalpabile, immediata e di solito più sicura rispetto alle controparti “fisiche”, che molto spesso – che sia per distrazione o per negligenza – non vengono controllate e presidiate in maniera sufficiente. Le nuvole digitali, invece, proprio per loro stessa natura devono sottostare a regolamentazione stringenti, soprattutto dopo l’avvento del regolamento 679/2016 – meglio conosciuto come GDPR – che ha posto l’accento sul trattamento dei dati personali nell’era digitale. Il cloud è mediamente più aggiornato, più reattivo e più sicuro: per questo sia la PA che le aziende italiane stanno sempre più muovendosi verso un decentramento delle loro infrastrutture digitali in favore di nuvole digitali.
La questione umana
Non sarà sicuramente il Cloud a salvare Pubbliche Amministrazioni e professionisti, di questo si è certi. Saranno invece le persone, gli attori coinvolti a portare l’innovazione nella vita di tutti i giorni: a patto ovviamente di un adeguata formazione custom che si adatti a differenti spazi e differenti tempi. Ciò che adesso manca è proprio questo: una sufficiente “culturizzazione digitale” che permetta alle persone di ottenere il meglio dal loro lavoro, siano essi aziende, PA o lavoratori autonomi. L’insicurezza sulla rete, la mancanza di sufficienti strumenti, la totale assenza di una bussola digitale sono le pallottole per il quale lo Stato dovrebbe fornire un giubbotto antiproiettile ai suoi cittadini.
Soltanto passando attraverso una “coscienza collettiva” dell’identità di ognuno di noi in rete sarà possibile scardinare quei meccanismi che ad oggi producono quell’insicurezza che, secondo alcuni studi, rende addirittura un italiano su due non completamente a suo agio nel mondo del web.