Una professione libera o una libera professione?
In un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando a causa della pandemia, diventare libri professionisti è sembrato a molti la scelta lavorativa più ovvia. In momenti di contrazione del mercato del lavoro, diventare imprenditori di sé stessi può diventare un’opportunità concreta di espandere il proprio business. Purtroppo, negli anni la libra professione è andata vestendosi di accezioni non proprio lusinghiere: spesso difatti chi sceglie di diventare lavoratore autonomo lo fa poiché obbligato ad un “ripiego”. La buona notizia è che il mercato della Libera Professione è in costante crescita. I dati ce lo raccontano ed anche il sistema azienda si orienta sempre più verso l’organizzazione a progetto che implica costruire ogni volta una nuova squadra fatti di professionisti spesso diversi. Con un mercato in decrescita e le aziende che non assumono, la persona che ha sempre lavorato da dipendente decide di intraprendere la libera professione vedendola come una fase transitoria, almeno finché non sentirà di navigare in acque più sicure. Questo però comporta dei rischi: senza una corretta gestione del proprio business (che diventa appunto autonomo) e una buona dose di selfbranding, pensare di poter aggredire una fetta di mercato con le proprie competenze diventa pressoché un suicidio lavorativo. Se è vero dunque che il lavoratore autonomo gode di grande libertà operativa, è anche vero che la gestione di tutto il business model è sulle sue spalle. Bisogna compiere dunque uno shift importante: da lavoro come “posto dato” a lavoro come “attività cercata” in cui fare maturare le proprie abilità, in un crescendo che cambierà modello lavorativo al mutarsi stesso delle necessità che si avranno di volta in volta.
Conoscere sé stessi prima degli altri
È dunque di responsabilità innanzitutto compiere una sincera autoanalisi, poiché soltanto attraverso la propria padronanza personale è possibile conquistarsi a mano a mano uno spazio operativo. Partiamo intanto dagli obiettivi che ognuno si pone: essi devono essere chiari, reali e soprattutto raggiungibili. Un libero professionista vende inoltre sé stesso: vende dunque le sue qualità, il suo tempo, ma anche tutto quello che sta intorno al suo lavoro, come la professionalità, la comprensione verso il cliente ecc. Anche il proprio network gioca una parte fondamentale nella vendita dei propri servizi, in quanto un network solido dà la possibilità da un lato di avere conferme delle proprie competenze agli occhi del cliente, dall’altro di utilizzare le proprie conoscenze personali per gestire alcuni lavori in outsourcing. Infine, non è da sottovalutare sicuramente la padronanza degli strumenti: con l’avvento delle nuove tecnologie le possibilità di business sono esponenzialmente aumentate, a patto che ovviamente il supporto informatico sia utilizzato in maniera corretta. È spesso difatti lo “scoglio tecnologico” una delle problematiche maggiormente impattanti sulla qualità del lavoro del professionista. Attraverso la padronanza di sé, degli strumenti di lavoro e del network, un lavoratore autonomo può dare il meglio che ha da offrire.
La motivazione ed il miglioramento continuo
Quello che sta alla base di tutto è ovviamente la motivazione. È dunque attraverso la soddisfazione del desiderio che riusciamo a costruire la nostra posizione, che ci porta di volta in volta un gradino più su nella scala dell’autorealizzazione. Prendiamo in prestito lo schema piramidale di motivazione redatto dallo psicologo Abraham Maslow: alla base ci sono i desideri fisiologici di una persona, a cui subito dopo subentrano quelli di Sicurezza e Protezione della propria incolumità. A latere di questi due principi di base si costruiscono gli altri gradini della piramide, che si identificano nel sentimento di appartenenza (ad un gruppo, ad una identità ecc.) e nel riconoscimento sociale che ognuno di noi pensa di meritare. Soltanto alla fine, in cima alla piramide, troviamo l’autorealizzazione. Senza la soddisfazione dei livelli inferiori della piramide non possono sussistere quelli superiori: ecco perché la motivazione che ci spinge deve essere chiara e ben definita. Soltanto attraverso un’analisi approfondita è possibile comprendere le motivazioni del proprio lavoro, oltre che gli obbiettivi verso i quali si vuole arrivare. In questa logica, il bisogno soddisfatto si traduce in una maggiore consapevolezza di sé, che in una logica circolare consente di puntare all’individuazione di nuovi bisogni e nuove motivazioni e così via.
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Si Ringrazia il Relatore Paolo Roccatagliata per l’intervento.
– Federprofessional, dai professionisti per i professionisti